Tra sabato e domenica ho trascorso una notte pesante!
Potreste dire, a buon titolo: “Echissenefrega!”.
Io sarei con Voi, se lo diceste.
Ma voglio mettere le mani avanti rispetto al fatto che, a tavola, ho prestato più attenzione alla conversazione che al cibo.
Ma sto correndo troppo. Torno sui miei passi. E' domenica, ora di pranzo. Claudio e Lorena hanno prenotato qui perche desiderosi di condividere “una bella esperienza”, dicono. Sono stati qui, alla Cantina di Gruppo, almeno tre o quattro volte, dall'inizio dell'estate scorsa.
Il locale è a Gruppo, appunto, quattro case e una vecchia fornace tra Fossoli e Novi, lungo la via Remesina.
Siamo in terra di bonifica, il paesaggio circostante è quello: argini e campi bassi, file d'alberi snelli, qua e là, quel che resta delle risaie d'una volta, terra scura e pesante interrotta da canali, ora stretti ora larghi, sempre dritti, senza esitazioni. D'inverno, freddo ed umidità a non finire, delle antiche nebbie qualche ricordo. D'estate, afa e calura, zanzare belle toste, e un vago sentore dei gas dalla terra.
Se vieni da Fossoli, passi davanti a ciò che resta dell'antico campo di concentramento e smistamento.
Le baracche dalle mura dirute, del rosso stinto di una menzogna cinica, arbusti incolti come la memoria.
Se la giornata è grigia e piovosa, come domenica appunto, ti è più facile pensare, per un attimo, solo per un attimo e poi scappi, a quanto dolore sia passato di qui. A quanti abbiano visto la loro vita, l'intera vita, racchiusa nel cerchio di poche settimane.
Un po' di malinconia, un senso di spaesamento e poi avanti verso l'agognato desco. Intanto si son fatte le 13…
L'ambiente è già raccontato, da altri.
Altro non aggiungo, se non una nota di servizio, che è una piccola osservazione negativa.
La faccio perché ho scoperto, leggendo precedenti recensioni e note a lato, che il titolare del locale è uso partecipare alle discussioni e a commentare i commenti.
Il locale è troppo freddo. A tavola, ahimè, se vuoi che l'attenzione degli avventori stia tra il cibo e le bevande, ti devi preoccupare che il “clima” sia consono alla digestione.
A me son mancati almeno due gradi celsius per tutto il pranzo. E dico due per non esagerare, soprattutto dopo aver dichiarato di non essere stato nella migliore delle condizioni.
Una gentile signora distribuisce i menù ed accoglie, sorridendo, le ordinazioni.
Presente ma non invadente.
La sala però è “vuota”. All'inizio solo noi quattro, poi, più tardi un altro tavolo con quattro adulti e due bambini.
Mi son detto, fra mè e mé (con due accenti diversi, così sembri un colloquio!): “Speriamo sia il tempo da lupi! Tranquillo! Claudio e Lorena sanno mangiare. Se si sono prodigati in elogi, ci sarà un perché!”
La faccio breve: c'è un perché.
Anticipo il giudizio: si mangia bene.
Io ho dovuto trattenermi, spiluccare, non guardar troppo negli altrui piatti, ma ho netta l'impressione che si mangi bene.
Due antipasti in quattro, tanto per gradire. Si tratta di frittelle di bianchetti, se di Genova, di “neonata” o “nunnata” se della Sicilia occidentale (mia moglie docet!).
Ho un amico catanese che mi ha detto “puppetti di muccu”, … e io gli credo.
Buone, ma ho un ricordo di altre, più intense di sapore e compatte al palato.
Poi quattro minestre.
Per me passatelli asciutti con funghi e pancetta abbrustolita. Buoni, equilibrati di sapore, dalla consistenza “elegante”.
Di fronte a me, Claudio e le sue “mezze maniche” taglia XXL, con filetti di triglia (?), pomodorini e spiancina.
La faccia, all'insegna della ponderazione, si è via via distesa in un sorriso d'intesa: promosse a pieni voti.
Di lato a me, non ricordo il contenuto dei piatti ma qualche mugolio d'approvazione, oltre all'odore persistente dell'abbondante dose di tartufo (nero) presente nel piatto di mia moglie.
Come secondo piatto, … son stato a guardare e a parlare del tempo, della crisi economica, dell'inadeguata risposta politica, di un romanzo di Don Wislow e di mio figlio.
Per Claudio un filetto di bisonte cotto nella paglia (o con la paglia?), per Lorena una tagliata di bisonte, di cui intravedo anche sottili fette di carciofo fritto, e per Francesca una frittura mista di mare.
Ho assaggiato qualche boccone rubato dal piatto di Francesca, mia moglie, una delle poche forme di promiscuità che, ormai, ci concediamo.
La frittura è buona, giusta la cottura, giusta la croccantezza della “panatura”, giusto il sale e giusto il sapore del pesce (e quest'ultimo non è poco!).
Non so che dire del bisonte. Una sorta di pudore animalista da “ultima cena” mi ha trattenuto dal porre domande.
Nemmeno il sapere che il bisonte è canadese, temevo della più prossima Polonia, mi ha sbloccato.
So che, come si dice,” va per la maggiore”. Sono decine e decine i locali che ti propinano carne di bisonte, in giro per l'Italia.
Immagino sia buona e, tra l'altro, alla Cantina sembra proprio “bencotta”.
Quattro dessert, in prossimità dell'arrivo.
Qui son rimontato in sella (… vedi il bisonte!).
Una loro reinterpretazione dell'irish coffeé.
Veramente buona. Panna montata e, a scendere, crema di whiskey e crema di caffè.
Le tre compenenti giustamente sovrapposte, e non solo perché a strati.
Panna cotta per le signore. Mia moglie l'ha definita buona ed interessante. Quest'ultimo commento, apparentemente strano, nasce dalla presenza, nella cultura gastronomica famigliare, di una panna cotta decisamente più che commestibile. L'interesse è il metro del confronto, va da sé.
Originale la presentazione dentro un vasetto bormioli con guarnizione di gomma arancione e chiusura a leva, di filo metallico, proprio come nelle conserve casalinghe.
Claudio ha optato per un dolce nel cui titolo riecheggia il termine “cannoli”: tre cialde verticali intervallate da una crema inglese di cui mi ha detto meraviglie. Un po' meno entusiata dei cannoli.
Due caffè molto buoni per concludere.
Dimenticavo! Le bevande! Già, ma c'è un perché se mi son distratto: io non ho sentito nemmeno una goccia di vino e … non starei a parlar d'acqua, vi pare.
Per rispetto degli altri mi sforzo: ricordo una bottiglia di rosato, sul colore giuro, sull'etichetta taccio.
Poi una mezza bottiglia di rosso piacentino mosso, Gutturnio, se ben ricordo.
Sempre curate le presentazioni, sia per la composizione del cibo che per la scelta dei piatti o, come nel caso della panna cotta, dei contenitori (originali).
Il conto si ferma a 37 euro a testa, che per la qualità delle materie prime, per quanto è intuibile, e per la “complessità” di alcune preparazioni, sono assolutamente onesti.
Adesso devo tradurre il tutto in un voto.
Per il cibo di cui son stato testimone diretto e per il sorriso riservato della signora in sala devo dare 4 cappelli, senza enfasi e senza sconti.
Vale senz'altro la pena.
La carta, consistente e varia nelle proposte, merita più di una visita.
La prossima volta, mi auguro, sarò in condizioni di esagerare un poco, anche in ricordo della parsimonia obbligata di questa prima volta.
Consigliatissimo!!
[carolingio]
30/11/2010