Una scommessa: riuscire a fare una recensione quasi “breve” (nel senso di non chilometrica) io e su un locale del genere. Del resto l'ho già recensito una volta, posso tralasciare ambiente e considerazioni più generali e concentrarmi solo sul cibo.
L'occasione è presto spiegata: da parecchio tempo sono iscritto al gruppo di facebook “fan di Mauro Uliassi”, e per festeggiare il conferimento del punteggio di 19/20 sulla guida 2011 dell'Espresso il fondatore del gruppo aveva organizzato con lo chef un pranzo celebrativo per domenica 12 dicembre, subito prima della chiusura invernale del ristorante, un banchetto da 12 portate più amuse bouche, sorprese e pasticceria al prezzo prestabilito di 125 euro; per le bevande si è discusso un po' e alla fine si è concordato che ci avrebbe pensato la casa, servendo Champagne per quasi tutto il pasto e un rosso con la pietanza di carne (e acqua, ovviamente), al costo di 15 euro, quindi 140 euro tutto incluso a partecipante.
Davvero una splendida opportunità per quella che per me era una novità assoluta: per la prima volta infatti mi capitava di tornare in un ristorante al massimo livello (usiamo il criterio opinabile ma chiaro dell'attribuzione di almeno una stella Michelin), essendomi io sempre limitato a una visita soltanto a quelli che in genere erano posti in cui andavo durante le vacanze.
Volessi dilungarmi potrei parlare della mia partenza all'alba, o, più in tema, dell'aperitivo fatto da Anikò, la “salumeria ittica” dell'amico-concorrente Moreno Cedroni, ma passiamo direttamente all'approdo al ristorante proteso sulla spiaggia: i partecipanti erano stati divisi in tre grandi tavolate, io, non so bene perché, sono stato smistato al tavolo “vip”, che accoglieva alcune piccole celebrità della blogosfera gastronomica (che io però non frequento, ed erano quindi per me dei completi sconosciuti) ed è grazie alla presenza di costoro, che, prima ancora di sederci, siamo stati accolti nella grande e interessantissima cucina da Uliassi stesso, tutta a piastrelle bianche e blu e disseminata di foto, cartelli, webcam e schermi di computer in funzione.
Ma è ora di sederci al grande tavolo ovale da 12, perché il pranzo è lungo e il tempo incalza (io infatti non riuscirò a finirlo causa partenza del treno), mentre sole e nuvole combattono nel cielo sopra il pallido Adriatico; il benvenuto di Uliassi già lo conosco: il loacker di fegato grasso e nocciole accompagnato da uno shot di kir royal, finito il quale ci viene servito lo Champagne Première Cuvée Brut di Bruno Paillard, rigorosamente in magnum per la gioia di Catia Uliassi costretta a maneggiare quei bottiglioni, che ci accompagnerà sin quasi alla fine, un vino piacevolmente vivo e fresco nel quale “si sente il vento”, come dice uno dei commensali più facondi, subito amichevolmente dileggiato per questa uscita.
Per ricordare tutte le portate del banchetto mi viene in aiuto il menu stampato su cartoncino decorato da un triangolo decorato da Catia, posso quindi dirvi che abbiamo cominciato con “gambero rosso, pinoli e gelatina di scalogno”, piatto in cui il gambero crudo era contrastato dalla piacevolissima acidità della gelatina di scalogno, dovuta all'uso dell'aceto di mele (questo e altri particolari sono dovuti alle precisazioni di Mauro che passava a ogni portata), quanto ai pinoli essendo freschi non avevano profumo resinoso e contavano sopratutto per la consistenza croccante che introducevano; ottima la “battuta di manzo marchigiano, formaggio fuso e pera alla grappa”, la carne cruda, classicamente condita, nell'incontrare il formaggio e i traslucidi cubi regolari di pera creava delle unioni di gusto eccellentemente combinate, l'unico problema era la quantità , perché ne avrei mangiato volentieri il triplo, ma come arrivare in fondo? La “spremuta di granchio, molluschi crostacei e gelato ai ricci di mare”, votata su Dissapore come uno dei piatti migliori del 2010, è invece stata, non dico deludente, ma comunque per me non all'altezza della sua fama: indubbiamente riuscito l'intento di ricreare l'esperienza primigenia del contatto con l'acqua del mare, lo faceva però non con troppa forza, e senza concedere troppo al piacere, a mio personale parere, conta nel giudizio anche un mio scarso amore per le preparazioni fredde; piacevole il gioco citazionista del “Rimini fest”, calamaretti impanati e grigliati su spiedino conditi con caviale di citronette, cioè palline di salsina congelata dall'azoto, dove si sposa la tradizione più inflazionata, da bancarella sulla spiaggia, con uno dei pochi ricorsi facilmente individuabili (ve ne sono sicuramente altri, ma Mauro abitualmente non esibisce la tecnica) a pratiche da cucina molecolare, insomma un piatto scherzoso e irriverente, ma in cui la doppia provocazione rimane su un tono sommesso e garbato, tanto che può non essere percepita.
Una pausa, anche grafica, nel racconto va invece fatta prima di uno dei piatti migliori della giornata, ossia la “triglia croccante, zuppa di prezzemolo e colatura di alici”, versione autunno/inverno di quella sposata in estate alle pesche o alle fragole a sua volta celebrata dal web come una delle maggiori realizzazioni culinarie dell'anno passato: Mauro stesso ci invita a prendere con le mani quei lunghi filetti incastonati tra fette di pane che paiono fritte ma sono in realtà passate al forno e intingerli nella verdissima salsa che nasconde cubetti di rabarbaro; come descrivere l'equilibrio miracoloso di quella zuppa? Il classico abbinamento di prezzemolo e alici è qui realizzato con una delicatezza inimmaginabile da chi è abituato a una qualunque, anche ottima, combinazione di acciuga e prezzemolo quale può essere una salsa verde; con questo piatto, se ben ricordo, sono iniziati i miei grugniti di soddisfazione.
Ancora alici nel “maialino da latte e alici del Cantabrico” con cipollotto e radicchio tardivo brasati, la cotenna è croccante, la carne tenera e fondente, le verdure brasate aggiungono una nota acida e sgrassante, il tutto in grande equilibrio di sapori e di consistenze. Ã? una fortuna che il mio vicino di sedia sia poco amante delle verdure, perché ho la possibilità di poter mangiare uno dei suoi carciofi una volta ripulito dalla bottarga che lo ricopriva: il piatto si chiama semplicemente “il carciofo e la bottarga” e ancor più del pregiato prodotto ittico io apprezzo la bontà del vegetale, forse il migliore che abbia mai mangiato; nuovi grugniti.
Arriviamo quindi al piatto che più di tutti ho amato: il “fondente di patate, alzavola, radici di erbe di campo”; l'illuminazione sul nostro tavolo è un po' scarsa, e il sole ormai tramontato, quindi non è facile determinare se la superficie scura e un po' lucida del piatto tenda più al marrone o quasi al nero, ma rompendola con la posata appare il bianco della patata, screziato dai pezzetti di alzavola (una specie di anatra), e una volta portato il boccone alla bocca la morbidezza calda e suadente del fondente avvolge il palato mentre le note terrose delle radici, rinforzate da tartufo e cacao, fanno esplodere un vero tripudio dell'autunno. Lo Champagne, almeno uno tanto giovane e fresco, si accompagnerebbe ben poco con questa meraviglia, e sebbene non sia ancora il momento del rosso il piatto è sapientemente accompagnato da una tazza (in vetro) di tè pu-erh: nel presentarlo Uliassi mostra di conoscerne bene le origini e il selezionatore, ma a mio avviso difetta un po' nella conoscenza della classificazione dei tipi di tè, si tratta infatti, come brevemente spiego alla tavola, di un post-fermentato, pressato e lasciato invecchiare a lungo (in determinati locali è possibile trovare differenti annate di pu-erh, proprio come i grandi vini), noi lo chiamiamo anche tè rosso, cinesi e giapponesi, che invece chiamano rosso quello che noi chiamiamo nero, chiamano nero proprio il pu-erh, per non sbagliare i francesi lo chiamano sombre, scuro; la qualità del pu-erh differisce enormemente a seconda della varietà e del trattamento, può arrivare a grandi vette ma non si tratta di un gusto facile e particolarmente accattivante e difficilmente piacerà al neofita, in ogni caso presenta delle note inconfondibilmente terrose (di fango nei casi peggiori), è dunque un abbinamento che richiama perfettamente i sapori del piatto. I grugniti si fanno fusa.
Se questi sono i risultati mi viene da dire al diavolo il motto del ristorante Â? Uliassi... cucina di mare Â? vorrei provarlo su un menu tutto incentrato sui prodotti di terra e sulla cacciagione, cosa che in effetti fa, su prenotazione; e quindi dopo questa meraviglia l'arrivo del piatto di pasta “ciabattoni mare da bora (ostrica e uova di coregone)” riportandomi sui sapori iodati e marini non dico che arriva a deludermi, ma di sicuro non mi comunica la stessa emozione, anche perché purtroppo comincio a preoccuparmi per la durata del pranzo: l'ora della partenza del mio treno si avvicina inesorabile e appare probabile che non riesca a completarlo. Toccherebbe al mojto ghiacciato che dovrebbe azzerarci il palato prima della carne, ma compare invece un fuori programma, una piccola porzione degli spaghetti affumicati alle vongole e pomodorini arrostiti che avevo già gustato nella mia visita del 2008, un piacevolissimo ritorno, del resto c'è chi li ha definiti i migliori spaghetti alle vongole del mondo.
Vuotato il mio calice di mojito purtroppo non dedico sufficiente attenzione all'eccellente “colombaccio alla marchigiana”, che infatti ricordo appena, e per essere onesti neppure al rosso marchigiano Pathos 2007 della cantina Santa Barbara, un profumato uvaggio in parti uguali di Merlot, Cabernet Sauvignon e Syrah, da me comunque accolto con gran piacere, dopo tutto quello Champagne; in ogni caso la carne di piccione è una delle mie favorite, e Uliassi l'ha preparata da par suo, ma ormai per me è una faccenda di minuti: informati del fatto dalla cucina mi portano prima che agli altri il primo dessert “zuppa di frutto della passione, banana caramellata e gelato di yougurt (sic)”, che ingollo in gran fretta, ma devo purtroppo rinunciare al successivo “Tirami... Su”, e alla piccola pasticceria che da menu dovrebbe consistere in “petit four, piccolo bombolone alla crema, crema bruciata al caffè e crumble”, con vivo dispiacere e invidia saluto i miei commensali che si attardano nel dolce finale, saluto l'affabile chef e, regolato il conto con la gentilissima Catia, recupero il mio cappotto per fiondarmi alla stazione, che per fortuna dista a non più di quattro minuti a piedi dal ristorante. Un lento interregionale mi ricondurrà placidamente a Milano tra sonnellini e ascolti musicali wagneriani.
Potrei spendere due parole sui miei compagni in questa felice avventura culinaria, ma non conoscendoli affatto rischierei di cadere nel bozzettismo e mi limiterò a dire che si trattava di persone competenti, molto gentili e affabili, con cui è stato bello e piacevole condividere un momento simile; con alcuni di costoro sono ora in contatto via facebook... non nascondo che alla base di questo c'è un'affinità di vedute politiche, oltre che gastronomiche.
Del prezzo ho già detto, 140 euro comprese le bevande (oltre ai vini e al tè c'era ovviamente acqua minerale liscia o gassata a scelta per tutti, ignoro invece se a fine pasto sia stato offerto un digestivo), vorrei quindi in queste ultime righe spiegare il perché dei cinque cappelli e in quale modo vadano interpretati.
La cucina di Mauro Uliassi è una delle migliori che abbia provato, già nella mia precedente visita era da me stata apprezzata senza riserve, che avevo invece in relazione al servizio, in particolar modo per quanto riguarda il vino: essendo in questo caso l'abbinamento stato concordato in precedenza e non avendo subito limitazione alcuna Â? lo Champagne ci veniva rabboccato ogniqualvolta il bicchiere si vuotava Â? non ho nulla di cui lamentarmi, considerata anche la spesa molto contenuta su questo fronte, quindi non dovrei avere nessun problema ad assegnare il massimo punteggio... però lo sapete, per me “imperdibile!!!” è il locale che propone a prezzi contenuti dell'ottimo e semplice cibo, l'alta cucina è una mia passione (e follia) personale, ma penso che ne possa benissimo fare a meno chi ha altre priorità nella vita (non a caso mi sono limitato a quattro cappelli anche per la cucina di Roellinger che Â? e ne ho parlato proprio durante il pasto con un commensale che a sua volta ha potuto provarla prima che chiudesse la sua Maison de Bricourt Â? è per me decisamente superiore a quella di Uliassi), quindi mi sento in dovere di giustificare il quinto cappello.
L'arte culinaria di Mauro probabilmente non è la più innovativa, né la più colta o quella dal controllo tecnico più perfetto tra quelle dei grandi chef italiani contemporanei, ma a mio parere si può forse definire la più universale: chiunque può trovare il suo piacere nel bianco locale di Senigallia, il timoroso o arcigno tradizionalista, posto che accetti di recarvisi, non verrà spaventato od offeso da presentazioni e cotture troppo ardite o addirittura astruse, e al contempo il ricercatore di sensazioni nuove e attuali troverà soddisfazione in una tavolozza di sapori profondamente moderna, anche se senza ostentazione, è quindi � tra i ristoranti di alta cucina italiana che ho provato � quello che non esiterei a consigliare a chiunque sia in grado di affrontarne la spesa, che resta comunque molto ragionevole per questo livello.
In questo senso non posso che assegnare il massimo punteggio e ribadire l'invito presente nella precedente recensione: andateci.
Imperdibile!!!
[barbe]
16/01/2011
Mi viene da piangere...